Danno estetico e responsabilita’ dell’odontotecnico_Approfondimenti
L’articolo precedentemente pubblicato, dal titolo: “Danno estetico e responsabilità dell’odontotecnico”, ha suscitato interesse e dubbi ulteriori da parte di alcuni odontotecnici, i quali evidenziano che molti studi dentistici si sono dotati di software digitali in grado di prefigurare l’aspetto del paziente dopo l’intervento protesico, e addirittura stampano o inviano al paziente con e-mail o WhatsApp la pre-visualizzazione del futuro “risultato finale” di una terapia protesica: a questo punto si chiedono nel caso in cui, per le problematiche più disparate, non si dovesse raggiungere il risultato promesso cosa succede?
Chiedono altresì: se il progetto “venduto” dal clinico in concreto si dimostra tecnicamente non raggiungibile, le “colpe” in caso di vertenza legale, su chi ricadono, o meglio, come vengono ripartite? Quindi in casi del genere, cosa avrebbe da temere l’odontotecnico?
Con il menzionato articolo apparso su A.O.L. “Danno estetico e responsabilità dell’odontotecnico” la problematica in questione è stata già accennata, ma in questa sede proveremo a fornire degli elementi ulteriori.
Come evidenziato da autorevolissima dottrina, normalmente, “Il rapporto che il sanitario contrae con il paziente” è un contratto d’opera intellettuale ex art. 2222 e ss. c.c., ed in tal caso “il professionista si obbliga a prestare la propria opera di diagnosi e cura senza vincolo di subordinazione con il paziente”
Il citato autore chiarisce in maniera inequivoca che “L’oggetto della prestazione è generalmente finalizzato dalla definizione di una diagnosi o dalla esecuzione di una terapia e non già dal sicuro conseguimento della guarigione del paziente (obbligazione di mezzi e non di risultato): il professionista deve adempire
l’obbligazione con prudenza, diligenza, perizia, osservanza delle leggi e dei regolamenti”
In questo solco, il consenso informato, correttamente prestato in favore del paziente, in forma scritta, delimita l’alveo delle cure terapeutiche che verranno prestate dal medico al paziente, con l’indicazione delle alternative possibili e dei rischi connessi che – purtroppo – non sono mai totalmente eliminabili da parte del clinico.
A proposito della prestazione del consenso informato, sempre il Montagna evidenzia che “Il consenso è condizione imprescindibile di legittimazione dell’atto medico: esso deve essere chiaro, esplicito, articolato, esaustivo e documentato, cioè attestato, in ogni accertamento e trattamento che possa essere considerato << ragionevolmente >> a rischio per la salute del paziente” senza dimenticare che questo dovere del medico si ricollega al “principio dell’autodeterminazione del paziente all’inalienabile diritto alla propria salute emerge dal disposto della Costituzione italiana (all’art. 32 Cost.) ed il dovere di salvaguardare la propria incolumità personale dal Codice Civile (art. 5 c.c. Atti di disposizione del proprio corpo). Da tali disposti si evince che il consenso del paziente è la prima ragione di legittimità dell’atto sanitario (art. 50 c.p. Consenso dell’avente diritto) potendosi diversamente configurare un reato di violenza privata (art. 610 c.p. Violenza privata)"
Alla luce delle considerazioni appena svolte, nel momento in cui nella dinamica relazionale medico / paziente si inserisce una “promessa di risultato estetico” da parte dell’odontoiatra, poi documentata con la stampa o l’invio al paziente con e-mail o WhatsApp della pre-visualizzazione del “risultato finale promesso” si determina (inevitabilmente e di fatto) il passaggio da un’obbligazione di mezzi ad una obbligazione di risultato, così come avviene di norma nella chirurgia estetica.
Probabilmente, non è molto saggio da parte del medico promettere e documentare al paziente un risultato estetico specifico, anche perché il mancato raggiungimento dello stesso determinerà delle “vivaci” contestazioni e, verosimilmente, potrebbe sfociare in un contenzioso con probabili esiti infausti per il suddetto sanitario.
Infatti, nel caso che ci occupa, il passaggio dal “dovere di compiere quanto è possibile” (obbligazione di mezzi), alla promessa documentata di un risultato estetico preciso, determina l’insorgere di un’obbligazione di risultato in capo al professionista che, se inadempiuta, comporta una relativa responsabilità risarcitoria, salva ogni altra eventuale ed ulteriore responsabilità dell’odontoiatra.
La variegata casistica in disamina potrebbe anche presupporre (come è logico aspettarsi) una domanda di prestazione sanitaria da parte del paziente con una valenza spiccatamente edonistica, alla quale potrebbe conseguire un atteggiamento di passiva ed acritica adesione da parte del medico, generando un “corto circuito” in quello che dovrebbe essere il normale assetto delle rispettive posizioni: ma si badi bene, l’estetica deve sempre ispirarsi ai principi di etica e coscienza, cui necessariamente deve obbedire la pratica medica.
Se le richieste “estetiche” del paziente sono fuori logica rispetto alla scienza medica, l’odontoiatra deve dire di no, ed in casi del genere ha anche il dovere di fornire al paziente tutte le necessarie spiegazioni, deve articolare una risposta argomentata che consenta al paziente di “ritornare alla realtà”, affinché si “accontenti” di un risultato più vicino al suo “status e modo di essere umano”, evitando così pericolosamente di spersonalizzarsi, solo per provare a somigliare a modelli alieni.
Si tenga presente che, nel campo della medicina estetica non basta operare con prudenza, diligenza e perizia nel pieno rispetto delle linee guida, perché la medicina estetica in sé considerata non ha un fine curativo ma, piuttosto, mira al miglioramento delle imperfezioni estetiche di chi decide di ricorrervi.
In ogni caso, alcuni giusperiti hanno evidenziato che “viola la diligenza il sanitario che, imprudentemente, si impegni a conseguire un risultato al quale, invece, non si può mai impegnare perché la scienza medica insegna che le variabili in gioco, seppure in misura percentuale spesso limitata, non consentono previsioni attendibili al cento per cento e quindi promesse”.
Ed allora, come evidenziato da numerosi operatori del diritto, al contrario di quanto avviene negli altri rami della medicina, nell’ambito di quella estetica vige un più stringente obbligo informativo in capo al chirurgo circa le possibilità di successo (o insuccesso) dell’intervento estetico (essendo ad esse funzionale la delicata scelta del paziente se sottoporsi o meno all’intervento), con una sorta di “consenso informato rafforzato”.
In dettaglio, un’informazione non esaustiva o la mancata prospettazione di tutti rischi d’insuccesso (o di parziale successo) dell’intervento può portare alla responsabilità del medico anche quando l’insuccesso estetico (o il parziale successo estetico) sia indipendente da una sua colpa.
In questo senso, alcuni studiosi hanno evidenziato che: “il problema della responsabilità del chirurgo estetico si basa essenzialmente sulla problematica del << consenso informato >> reso al paziente. Infatti il chirurgo plastico o estetico ha l’impegno di tratteggiare in modo dettagliato il risultato che intende raggiungere a seguito dell’operazione, le modalità dell’intervento, e di prospettare realisticamente i rischi e le possibili conseguenze pregiudizievoli connesse all’intervento. Questa spiegazione dettagliata va ad adempiere il dovere di informare correttamente il paziente, e a tutela del consenso e della salute di quest’ultimo. Parimenti, il paziente ha l’onere di prestare la dovuta attenzione alle informazioni che gli vengono fornite, al fine di valutare l’opportunità di sottoporsi all’intervento, di cui andrà ad assumere consapevolmente il rischio prospettato dallo specialista”.
Ma a questo punto, tanto premesso in linea generale ci si chiede se, pattuito il risultato estetico, poi purtroppo non raggiunto, il paziente dovesse fare causa per danni all’odontoiatra, quale sarà la sorte dell’odontotecnico?
Il timore abbastanza diffuso è quello di trovarsi fra l’incudine ed il martello, come un soggetto destinato comunque a soccombere ma non è proprio così.
Iniziamo col fare chiarezza: l’odontotecnico che esercita correttamente la sua attività, potrà essere evocato in giudizio per il risarcimento dei danni solo dal medico odontoiatra che dovesse ritenerlo corresponsabile per i danni estetici lamentati dal paziente.
Tuttavia, anche in questo caso, soccorre l’antico brocardo latino: “onus probandi incumbit ei qui dicit”, cioè l’onere della prova dei fatti posti a base della richiesta risarcitoria spetta a chi chiede il ristoro, quindi al dentista.
Evidentemente, se non si lamentano danni derivanti da insuccessi tecnici e/o biologici e/o funzionali che possano essere ricondotti all’attività dell’odontotecnico, quest’ultimo andrà esente da responsabilità.
Incardinato il giudizio, gli esiti della Relazione del Consulente Tecnico d’Ufficio dovrebbero condurre ad escludere la responsabilità dell’odontotecnico e, quindi, a negare il dovere di quest’ultimo a contribuire al risarcimento dei danni lamentati dal paziente.
Nel caso cui il CTU non riscontri difetti tecnici di costruzione, e/o di utilizzazione di materiali non conformi, non rilevi l’esistenza di difetti del dispositivo medico che il dentista avrebbe dovuto rilevare durante i controlli clinici e comunque prima della messa in servizio, ovvero ricorrendo elementi in ordine ad interventi correttivi effettuati dal dentista stesso (modifiche alla protesi), alcun addebito dovrebbe essere imputabile all’odontotecnico.
In sostanza, la conformità del dispositivo medico su misura alle prescrizioni del clinico ed alla legge pone l’odontotecnico, almeno in linea generale, al riparo da contestazioni e rivalse.
Anche in questa sede giova rammentare, ancora una volta, che è al professionista abilitato alla terapia odontoiatrica ed al trattamento protesico del paziente, in quanto responsabile della concezione ideale e globale del lavoro protesico destinato ad uno specifico individuo, ad essere affidato un ruolo “guida” nell’ambito della terapia medica complessivamente considerata.
Come già evidenziato in passato, l’odontotecnico che fabbrichi un dispositivo medico su misura inserito in un trattamento terapeutico con finalità prettamente estetiche dovrà riservare una cura particolare alla documentazione da redigere e conservare.
Poter disporre della prova scritta (con un documento proveniente dall’odontoiatra) che indichi in maniera analitica tutte le caratteristiche fondamentali e tutti i dettagli caratterizzanti del dispositivo medico su misura al fine del raggiungimento del risultato estetico prefissato, è fondamentale.
Se invece, fin dall’inizio, l’odontotecnico è comunque consapevole di realizzare un dispositivo medico su misura del tutto inadeguato al contesto orale cui è indirizzato, e che dovrà essere messo in servizio spericolatamente da parte di un audace e temerario odontoiatra, si sarà reso artefice del suo cupo futuro destino.
E allora ritorniamo ai nostri cari antenati latini: “Faber est suae quisque fortunae” (“ciascuno è artefice della propria sorte”).
A cura Dell'Avv. Gianfranco Manzo
Consulente legale ANTLO